Monastero benedettino di San Nicolò
A Punta grossa, nell’area di “Gasello” era ubicata già nel 10° o 11° secolo una chiesetta.
Origine del toponimo Valdoltra
La chiesetta era ubicata a sudovest del territorio collinare, chiamato già allora con il nome latino “Ultra”, sviluppatosi dopo in oltra. Le due espressioni significano oltre, di là, altro. Così la baia ossia la valle di fronte a Capodistria venne chiamata valle d’oltra o anche l’altra valle. E’ possibile anche che avessero chiamato la chiesetta a Valdoltra così per distinguerla dalla chiesa omonima a Venezia. Nei tempi passati si usava il nome Valdoltra (variante slovena di valle d’Oltra) per denominare tutta la baia di Ancarano. Oggi il toponimo si riferisce all’Ospedale ortopedico di Valdoltra e all’abitato nei dintorni.
La chiesetta di Santo Apollinare era sotto la giurisdizione del vescovato triestino e si suppone che il suo patrono fosse il martire Santo Apollinare di Trieste. La costruzione potrebbe risalire all’anno 900 o forse all’anno 1053. Nell’archivio di Madonizza è annotata la storia del monastero a Valdoltra che porta la data della costruzione della chiesetta, e cioè l’anno 1053. La chiesetta sarebbe stata costruita su ordine del vescovo e doge Contarini. Nel 1072 il prete Remedio con il permesso del vescovo di Trieste Adalgeri regalò la chiesetta insieme al podere appartenente ad essa al monaco Zeno, padre superiore del monastero benedettino di Venezia San Nicolò del Lido di Venezia.
Monastero San Nicolò d'Oltra
Venne eretto così a Valdoltra il monastero di San Nicolò d'Oltra, che negli anni allargò i suoi confini grazie ai doni degli abitanti vicini e alle acquisizioni nei secoli a venire. L’area del monastero si allargò anche nell’anno 1152 quando entrò sotto la giurisdizione di San Nicolò di Valdoltra anche il monastero dell’Annunciazione di Maria (al tempo ancora fuori dalle mura cittadine di Capodistria). Questo fatto conferma la supposizione sulla preesistenza del convento a Valdoltra.
La costruzione del monastero, iniziata probabilmente nei primi anni del 11° secolo, fu conclusa, dopo vari intervalli, nel 1576 (anno inciso sulla facciata sotto il campanile della chiesa di San Nicolò), quando fu costruito anche il campanile. Nel tardo 17° secolo, precisamente nel 1686 fu ristrutturata ossia completata la facciata del monastero. Forse l’immagine del monastero era già allora come viene presentata dalla fonte del 1775.
In questa raffigurazione sono visibili gli edifici che facevano parte del complesso monastico nella seconda metà del 18o secolo. Da una parte c’era il campanile, nel mezzo l’edificio a due piani, con la forma ad elle, che rappresentava la parte principale del monastero e dall’altra parte un altro edificio più alto. Quest’ultimo serviva probabilmente da fabbricato rurale, in cui i monaci, che coltivavano parecchi terreni agricoli nei dintorni del monastero, conservavano i prodotti.
L’edificio principale con la forma ad elle faceva parte del monastero e sulla raffigurazione sembra essere una costruzione recente. La facciata sud aveva l’ingresso a tre archi e inoltre aveva allineate delle finestre rettangolari su tutta la facciata, una vicino all’altra. L’edificio monastico era adiacente al campanile, finito nella seconda metà del 16° secolo.
Che la chiesa fosse ubicata nello stesso posto della chiesetta di Santo Apollinare, ce lo confermano i seguenti dati: nel periodo di Paolo Naldini (1632–1713) la chiesa aveva due patroni, Sant’Apollinare e San Nicolò. Il dato sull’origine, ce lo fornisce la data 1576, ancora oggi ben visibile, del campanile costruito sulla navata ancora esistente della chiesetta.
Il monastero di San Nicolò era per i monaci benedettini di Venezia, che venivano spesso e volentieri in questa “valle oltra”, una dimora molto amata. Nel 16° secolo le loro visite furono spesso interrotte dalla peste in Istria, specialmente negli anni 1511, 1554 e 1573. Nel 1573 il monastero fu abbandonato completamente.
Di fronte alla facciata sud del ex monastero benedettino ad Ancarano, è situato il sarcofago in pietra, unico reperto risalente all’epoca precedente all’anno 1500.
Dalle annotazioni (probabilmente del 19° secolo) si capisce che il panorama del monastero era magnifico – da una parte il monastero era circondato dal mare, dall’altra dalle colline verdi, davanti c’era la città (Capodistria) innalzata sulla roccia e l’insieme: ”aggruppano quanto di vago ed ameno sogliono produrre o colorire la natura e l'arte”.
Nella prima metà del 17o secolo il complesso monastico a Valdoltra non funzionava più come monastero, ma come luogo di villeggiatura. Così almeno si legge nelle annotazioni di archivio, che citano come fonte Tommasini, vescovo di Cittanova. Nelle annotazioni sull’Istria, scritte a metà del secolo 17° dal vescovo Tommasini, si legge: “Di fronte alla città (Capodistria), un miglio oltre il mare, sta San Nicolò, chiamato d’Oltra che appartiene all’abbazia di San Nicolò sull’isola veneziana del Lido. E’ un bel luogo con edifici moderni come si addice alla grandezza della congregazione Cassinese. I monaci di Venezia ci venivano in gita perché l’aria era pulita, il posto solitario e si poteva pescare e cacciare uccelli liberamente. Adesso non vengono più dal Lido, preferiscono luoghi più vicini a Venezia e qui ci vivono uno o due monaci e qualche abate, che viene qui perché ama la solitudine monastica”.
Il monastero a Valdoltra fu definitivamente abbandonato nel 18° secolo. Una delle ragioni sarebbe stata la tempesta che aveva causato il naufragio della nave che portava i benedettini da Venezia a Valdoltra. Molti monaci persero la vita e gli abitanti e i benedettini pensarono che l’evento fosse una punizione divina e non vollero più tornare a Valdoltra. La seconda ragione era l’anno 1770, quando la Repubblica Veneziana cominciò ad esercitare un controllo severo sul monastero benedettino sul Lido ed il suo podere in Istria. Possiamo dedurre che in quell’anno i benedettini avessero lasciato definitivamente Valdoltra lasciandosi dietro oltre al complesso monastico, inclusi la fontana, il giardino, il cortile davanti agli edifici, la chiesa e il campanile, anche vasti territori agricoli – oliveti, campi, boschi, prati, vigne e case di coloni con i loro terreni. La partenza dei monaci avrebbe scosso molto gli abitanti dei dintorni, poiché dipendevano dai monaci sia per l’aiuto e il conforto, che per la loro medicina monastica.
Nell’anno 1774 o 1775 il monastero di San Nicolò, con tutti i suoi beni, materiali e immateriali, fu comprato dai fratelli Pietro e Giovanni Madonizza. Il contratto di compravendita stipulato tra la famiglia capodistriana e la Repubblica Veneziana comprendeva una clausola speciale con cui si proibiva che il complesso monastico acquistato potesse ritornare in funzione. (Semi, 1935, 10–11). Nel 19° secolo ci sono stati ingenti lavori di ristrutturazione, visibili anche oggi, ordinati da Pietro e Nicolò Madonizza.